Le opposizioni in consiglio comunale dicono no al trasferimento forzato degli ultimi residenti nel Villaggio Tav: l’amministrazione comunale deve completare a breve lo sgombero per abbattere quello che resta dell’ex centro di accoglienza, in luogo del quale, con un investimento da oltre 38 milioni di euro provenienti dal Programma Pinqua, finanziato con fondi Pnrr, sorgerà un nuovo quartiere di edilizia residenziale pubblica.
Per questo agli ultimi nuclei familiari residenti al Villaggio è arrivata la lettera di sfratto. In molti tra gli ex residenti hanno già trovato autonomamente una soluzione. A tutti gli altri il Comune propone una soluzione “draconiana”: gli uomini al dormitorio comunale, le donne e i bambini in strutture protette di cohousing. Una soluzione a cui i capigruppo di opposizione (Nicola Fonzo del Partito Democratico, Piergiacomo Baroni di Insieme per Novara, Mario Iacopino del Movimento 5 stelle a cui si è aggiunta la consigliera del Gruppo Misto Francesca Ricca) sono fortemente contrari.
“Tale soluzione – scrivono in una nota diffusa ieri pomeriggio – ha creato e crea grossi problemi soprattutto ai minori che si vedono privati della figura paterna con gravi conseguenze sulla loro crescita e sul loro benessere psicologico. Stupisce che dirigenti, funzionari dei servizi sociali, stimati professionisti, accettino tale soluzione che è contraria a tutti i principi del servizio sociale oltre che al buon senso”.
“Si tratta – rincarano la dose - di un intervento punitivo, ingiustificato che difficilmente troverò il consenso degli interessati. Ci sembra poi scandaloso e molto grave che i partiti che compongono l’attuale maggioranza consiliare e che dicono di voler salvaguardare l’istituto famigliare e promuoverne il benessere accettino tale soluzione. Forse il diritto all’unità del nucleo familiare vale solo per le famiglie ricche o comunque benestanti? I poveri non hanno diritto ugualmente ad avere una famiglia unita, una casa, o un luogo dove poter essere famiglia e vivere insieme?”
Dopo aver fatto riferimento all’articolo 3 della Costituzione, che parla di “pari dignità sociale”, i capigruppo di minoranza pongono alcune domande: “Non si considerano poi - scrivono - i costi sociali e umani di una tale soluzione? Per non parlare dei costi economici. Sapete quanto costa mantenere donne e bambini in una struttura? Migliaia di euro. Le risorse impegnate potrebbero essere destinate a trovare altre soluzioni più umane e che aiutino veramente le famiglie a trovare una via di riscatto e di autonomia”.
E concludono con una proposta: “Esistono già anche in città buone pratiche messe in atto da realtà del volontariato che hanno dato ospitalità a famiglie in situazione di emergenza abitativa, che non avevano (come quelle di cui si parla) i requisiti per un’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare e che hanno portato ad un reinserimento sociale, abitativo e lavorativo in tempo ragionevoli. Invitiamo tutti ad un ripensamento per trovare soluzioni umane e che rispettino la dignità delle persone”.