All’inizio del XIX secolo, l’Italia sembrava sprofondata nel torpore della Restaurazione, quell'ordine voluto dai sovrani europei per cancellare le conquiste napoleoniche (ma anche quelle sociali ottenute grazie alla Rivoluzione francese) e riportare il continente al passato. Eppure, sotto la calma apparente, qualcosa ribolliva: un desiderio nuovo, potente, di unità e libertà. L’idea di un’Italia diversa, retta da regimi costituzionali, cominciava a farsi largo: una stagione di speranza e di sangue destinata a segnare il cammino del nostro Risorgimento.
I moti del 1820-21
È a Torino che, nel 1821, si accese la prima grande fiammata liberale dell’Italia preunitaria. Nei circoli borghesi e tra i carbonari da tempo fermentavano idee di insurrezione, con un duplice obiettivo: liberare la Lombardia dal dominio austriaco e ottenere una Costituzione che vincolasse la monarchia sabauda al rispetto dei diritti popolari. Ma il re, Vittorio Emanuele I, irriducibile nei suoi principi restauratori, soffocò ogni anelito liberale e rinsaldò il regime assolutistico.
A quel punto gli occhi dei patrioti si volsero su Carlo Alberto, giovane principe e unico esponente della casa reale a mostrare, almeno in apparenza , una certa apertura verso i fermenti studenteschi e liberali scoppiati a Torino l'11 gennaio 1821, sull'onda delle rivolte in Spagna e nel Sud Italia.
Sotto la pressione crescente, Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice, lontano da Torino, mentre Carlo Alberto assunse la reggenza temporanea. In un clima sospeso tra entusiasmo e incertezza, concesse una Costituzione e insediò un governo provvisorio. Ma l’illusione durò poco: Carlo Felice, sostenuto dalle truppe austriache, ordinò a Carlo Alberto di rinnegare ogni concessione e di abbandonare la città, lasciando i rivoluzionari senza guida.
Il sogno si infranse con la battaglia di Novara, l'8 aprile 1821. L’esercito lealista ebbe la meglio, e la repressione fu dura: arresti, esili, condanne. Eppure, quell'ondata di speranza trovò eco nella letteratura. Alessandro Manzoni, con l’ode Marzo 1821, diede voce allo spirito del tempo, raccontando il desiderio di liberazione non solo della Lombardia, ma dell'intera Italia oppressa.
Gli anni Trenta: eredità e prospettive
I moti degli anni Trenta furono il testardo tentativo di non spegnere quella fiamma. Gli ideali di libertà e unità sopravvissero nei cuori e nelle società segrete come la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Nonostante nuove insurrezioni, l’organizzazione precaria e la brutale repressione condannarono al fallimento molti tentativi. Ma i semi gettati in quegli anni avrebbero germogliato nella grande stagione rivoluzionaria del 1848.
La Primavera dei Popoli e il 1848 in Italia
Il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni in tutta Europa e la “Primavera dei Popoli” travolse anche l’Italia, facendo esplodere il desiderio di cambiamento.
In Piemonte, sotto la pressione dei ceti dirigenti torinesi, il re Carlo Alberto concesse lo Statuto Albertino il 4 marzo 1848: una Costituzione destinata a resistere e a diventare la base giuridica del futuro Regno d’Italia.
Intanto, a Milano, la rivolta era già scoppiata. Dal 18 al 22 marzo, durante le Cinque Giornate, i milanesi cacciarono gli austriaci, accendendo l’entusiasmo in tutto il Nord. Il Regno di Sardegna, guidato da Carlo Alberto, intervenne, dando il via alla Prima Guerra d’Indipendenza. Le battaglie di Goito, Monzambano, Curtatone e Montanara, tutte nel cuore del mantovano, segnarono i momenti più caldi di quella stagione. Anche Varese visse giorni di eroismo: volontari che si sarebbero poi distinti nelle imprese garibaldine nacquero proprio in quell'atmosfera di lotta.
Ma l'entusiasmo non bastò. La ripresa delle ostilità con l’Austria portò alla tragica sconfitta di Novara, il 23 marzo 1849, in uno scontro epocale alla Bicocca. Quella che passerà alla storia come la "fatal Novara" segnò la fine del sogno piemontese: Carlo Alberto, sconfitto, abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Il poeta Giosuè Carducci descrisse Novara come "brumal", tetra e sconfitta, mentre nella poesia Miramar la nave Novara diventò emblema di sventura, legando per sempre quel nome all’idea di disfatta.
La delusione non risparmiò la Liguria. Tra il 5 e l’11 aprile 1849, Genova insorse contro l’autorità sabauda, ma fu brutalmente repressa. Il "sacco di Genova" lasciò ferite profonde nei rapporti tra la città e il Regno di Sardegna: Genova pagò caro il prezzo della sua fierezza.
Dalle sconfitte alla speranza: l'eredità dei moti e la nascita dell'Italia unita
Nonostante le sconfitte, i moti risorgimentali dell’Ottocento furono il carburante che alimentò il sogno di un’Italia unita e libera. Il Piemonte, protagonista e motore di quelle vicende, si confermò il fulcro politico del futuro Risorgimento.
Lo Statuto Albertino, nato come concessione in tempi incerti, si rivelò la solida base giuridica del Regno d’Italia, destinato a sopravvivere fino alla fine della monarchia. Sconfitti sì, ma mai domati: nei moti di inizio Ottocento l'Italia trovò le sue prime, eroiche scintille di libertà.
Sulle orme di quei rivoluzionari, anche il nostro gruppo editoriale è orgoglioso di continuare a raccontare le vicende delle città che hanno lottato per la libertà: da Torino a Novara, dal mantovano al varesotto, fino a Genova.