La storia del Gianduiotto (giandojot, in piemontese) parte, pensate un po’, dall’epoca napoleonica, e precisamente il 21 novembre 1806, quando il celebre generale francese impose il cosiddetto “blocco Continentale”.
Tale provvedimento di Napoleone aveva lo scopo di interrompere qualsiasi scambio commerciale tra i Paesi sottoposti al governo francese e i prodotti dell’industria britannica. A causa dei costi elevati del cacao, conseguenti all’elevata difficoltà nel reperirlo in Europa, questa importante materia prima venne in parte sostituita, ad opera dei mastri cioccolatai torinesi, dalla più economica nocciola piemontese, la Tonda Gentile delle Langhe. Nacque così la gianduia, tipico impasto di nocciole e cacao.
La quantità di cioccolato prodotta dagli artigiani locali era limitata fino a quando, nel 1819, l’imprenditore Giovanni Martino Bianchini chiese al re Carlo Felice “l’uso privativo d’una macchina da esso inventata per il tritolamento del cacao, zuccheri e droghe, e per tutte le operazioni ad un tempo della fabbricazione del cioccolato”.
Grazie a un accordo con la famiglia Watzembourn, che possedeva una conceria con ruota idraulica, Bianchini riuscì a sfruttare l’energia idraulica per alimentare il suo macchinario e produrre, così, importanti quantità di cioccolato.
Nel 1826, Paul Caffarel acquistò la fabbrica dei Watzembourn, e si fece istruire da Bianchini riguardo la lavorazione del cacao. Nacquerò così i primi cioccolatini, all’epoca costituiti da un impasto di cacao, zucchero, vaniglia ed acqua. Qualche anno più tardi, nel 1852, Isidore Caffarel, figlio di Paul, fuse la sua fabbrica con un altro imprenditore del settore, Michele Prochet, e nacque così l’industria dolciaria Caffarel-Prochet. Fu allora che i due imprenditori decisero di utilizzare la pasta gianduia, fatta di cacao e nocciole tostate e finemente tritate.
Dettero a quei cioccolatini la forma a barca rovesciata tipica del gianduiotto, che all’epoca si chiamava “givu” (letteralmente, mozzicone di sigaro, ma da intendersi più come bocconcino), e decisero di incartarli singolarmente, con un sottile ritaglio di alluminio dorato. Tali scelte di forma derivavano, da un lato, dal voler imitare il cappello ad ala di tricorno indossato da Gianduia, la tipica maschera del carnevale piemontese e, dall’altro, dal voler preservare la pasta di gianduia dal calore.
Dal 1865, i Gianduiotti hanno acquisito il loro nome attuale, grazie all’abitudine di Gianduia di distribuirli ai bambini durante le sfilate di carnevale, e tuttora la Caffarel è l’unica azienda avente il permesso di stampare, sul loro incarto, il volto della maschera.
Esistono due modalità di preparazione del tipico cioccolatino sabaudo: ad estrusione, che prevede la colatura del cioccolato su piastre, senza l’utilizzo di stampi, e il colaggio in forme, che si basa sull’utilizzo di stampi ed una minore quantità di cioccolato.
Oggi i gianduiotti sono entrati di diritto tra le produzioni dolciarie tipiche del Piemonte e si possono vantare di aver raggiunto una fama mondiale.