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Economia | 13 dicembre 2022, 07:00

Cannabis light in Italia: il quadro normativo

La legislazione relativa alla canapa e al suo consumo ha fatto passi da gigante negli ultimi anni in Europa, complice anche la ricerca scientifica che vede al centro dell’attenzione il THC e il CBD.

Cannabis light in Italia: il quadro normativo

La legislazione relativa alla canapa e al suo consumo ha fatto passi da gigante negli ultimi anni in Europa, complice anche la ricerca scientifica che vede al centro dell’attenzione il THC e il CBD. Il caso dell’Italia è un po’ diverso rispetto a quello degli altri Paesi.

Cannabis depotenziata: il caso dell’Italia

In Italia, le cose hanno iniziato a cambiare radicalmente, se non altro a livello culturale, con l’entrata in vigore della Legge 242/2016. Questo testo normativo è nato con lo scopo di valorizzare la filiera agroalimentare della canapa, una pianta che, dati scientifici alla mano, è considerata tra le più sostenibili in assoluto. Da quando, nel gennaio 2017, la legge è entrata in vigore, si è iniziato a parlare di cannabis light in Italia come di un settore di grande importanza per l’economia del nostro Paese. Oggi come oggi, infatti, questo mondo dà lavoro a decine di migliaia di persone tra negozi online e store fisici.

Negli anni successivi, il settore della cannabis depotenziata, ossia tutte quelle attività che vendono prodotti a base di cannabis caratterizzata da un dosaggio di THC compreso tra lo 0,2 e lo 0,6%, è stato interessato da non pochi momenti difficili.

Tra questi è possibile citare le dichiarazioni, risalenti al 2019, di Matteo Salvini. L’allora Ministro degli Interni, in occasione di un incontro con i rappresentanti di alcune comunità di recupero per tossicodipendenti, dichiarò di voler emanare una direttiva per la chiusura di quelli che, ai tempi, chiamò canapa shop.

A seguito di quelle dichiarazioni, non tardarono le repliche della Ministra della Salute Giulia Grillo, che affermò che nei negozi sopra menzionati non si vende droga, e di Luigi Di Maio.

L’anno successivo fu il turno del decreto, successivamente ritirato, del Ministro della Salute Roberto Speranza. Se il titolare dell’appena citato dicastero sotto gli esecutivi Conte II e Draghi non avesse fatto un passo indietro, alla fine del mese di ottobre 2020 il CBD o cannabidiolo sarebbe diventato parte dell’elenco delle sostanze stupefacenti.

A seguito della sospensione del decreto è poi arrivata la promessa, sempre da parte di Speranza, di convocare un tavolo di lavoro avente il fine di affrontare la materia in maniera sistematica.

I problemi ancora aperti

La legge sopra citata ha rappresentato senza dubbio una rivoluzione per il nostro Paese, anche solo dal punto di vista culturale. Prima del gennaio 2017, mese di entrata in vigore delle disposizioni normative, si parlava infatti di cannabis considerando due universi. Da un lato c’era il sommerso, l’illegalità, i traffici in mano alla criminalità organizzata, dall’altro, invece, la cannabis terapeutica, da assumere solo a seguito di una prescrizione da parte del medico.

Nonostante gli innegabili cambiamenti portati in essere dalla Legge 242/2016, è importante sottolineare che, come gridano a gran voce da anni gli attori della filiera della cannabis, ci sono ancora diversi problemi aperti che necessitano di una risoluzione. Come già accennato, la filiera è un bacino di posti di lavoro che non possono essere ignorati e lasciati nel limbo.

Cosa chiedono gli operatori del mondo della cannabis? Norme che disciplinino in maniera chiara e inequivocabile l’utilizzo, da parte dell’uomo, della cannabis light e dei prodotti che la vedono come ingrediente.

Non tutti sanno che, infatti, la legge sopra citata non consente il consumo delle infiorescenze. Cosa dire, invece, in merito a un prodotto che negli ultimi anni è stato investito da un successo commerciale enorme, ossia l’olio di CBD? Che la legge attualmente in vigore consente unicamente il suo utilizzo per via topica. Non si parla di assunzione orale, abitudine che fa parte della quotidianità di un gran numero di persone soprattutto dall’inizio del 2020.

Per amor di precisione, è il caso di rammentare che, negli ultimi anni, un cambiamento normativo relativo alla cannabis light c’è stato. Si tratta dell’introduzione di indicazioni relative al THC residuo nei prodotti a uso alimentare, dall’olio fino alle farine e agli integratori. Le soglie, pari a 2 e a 5 mg/kg - il secondo parametro riguarda nello specifico l’olio - sono però considerate troppo basse dagli operatori della filiera.

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