Il Mamre ha inaugurato Casa Irene Ieri pomeriggio è stata inaugurata casa Irene. Ecco l'intervento del presidente di Mamre Mario Metti.
Grazie di cuore di essere qui per celebrare tutti insieme questo momento di festa. Non possiamo abbracciarci, ma possiamo incontrarci con il sorriso negli occhi, e dobbiamo non avere fretta, ma assaporare questi momenti che possiamo vivere oggi tutti insieme con questi grandi testimoni del Vangelo, monsignor Luigi Bettazzi e don Luigi Ciotti. Il primo momento. Alcune persone mi hanno chiesto perché abbiamo invitato proprio loro e allora vi racconto il motivo e brevemente anche la storia che ha portato a ritrovarci oggi a inaugurare “Casa Irene”. Oggi è la giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Scriveva Emanuel Lévinas: «Io sono nella sola misura in cui sono responsabile dell’altro... Incontrare lo straniero, l’altro, non significa farsi un’immagine della sua situazione, ma porsi come responsabile di lui senza attendersi reciprocità. Ciò che lo straniero, l’altro, può fare nei miei confronti riguarda lui, ma la responsabilità verso di lui impegna me, fino a definire una relazione asimmetrica in cui la reciprocità non è richiesta, una relazione disinteressata e gratuita». E ricordo un sacerdote, martire, cioè testimone del Suo Amore, morto accoltellato da un senzatetto straniero con problemi psichici, don Roberto Malgesini. L’amico padre Alex Zanotelli lo ricorda così: «La morte di don Roberto, prete comasco degli ultimi, ci ricorda come molto spesso ci si ritrova soli a portare avanti un impegno che è quello che ha portato avanti Gesù... Questi sacerdoti sono esempi rari: ecco perché papa Francesco spinge sempre su questo tasto. Questo prete ha pagato con la vita e, come dice il Vangelo di Giovanni, non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici e per don Roberto gli amici erano gli ultimi di Como: una morte che avviene nella ricca e borghese Como dove i poveri sono relegati, invisibili. Dove non c’è nessuna politica nei loro confronti. Don Roberto i poveri li andava a scovare, era diventato loro amico. Bello vedere preti di questo tipo. Esempi rari questi preti di strada come don Roberto...». Zanotelli è un altro grande testimone come lo sono stati don Andrea Gallo e don Tonino Bello, come lo sono Bettazzi e Ciotti, da sempre punti di riferimento per chi ha vissuto dentro o accanto all’associazione Mamre che quando nacque nel 1996 decise proprio di organizzare due incontri al collegio “Don Bosco” con loro. Qualcuno li definiva già allora “eretici” ed è proprio don Ciotti che dà una spiegazione di questo termine quando dice: «Vi auguro di essere eretici. Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso, è colui che più della verità ama la ricerca della verità. E allora ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi. Vi auguro l’eresia della coerenza e del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno. Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri, chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie, chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza, chi crede che solo nel “noi”, l’”io” possa trovare una realizzazione. Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio». Don Ciotti nel 1965 ha fondato il Gruppo Abele, associazione che promuove l’inclusione e la giustizia sociale attraverso un impegno che salda accoglienza e cultura, dimensione educativa e proposta politica. È stato ordinato sacerdote nel 1972 da padre Michele Pellegrino che gli assegnò come parrocchia “la strada”, luogo di povertà e di fragilità, di domande e provocazioni dalle quali imparare. Nel 1990 ha dato vita al mensile “Narcomafie” e nel 1995 a Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie della quale anche la nostra associazione fa parte. Don Ciotti ricorda sempre: «Nella vita ho due grandi punti di riferimento, il Vangelo e la Costituzione. La mia vita è spesa per cercare di saldare il Cielo e la Terra, la salvezza celeste con la dignità e la libertà terrena». È lui che pochi giorni fa in occasione del referendum ci ricordava che la nostra è una democrazia malata e che se è facile essere contro la politica è ben più difficile impegnarsi per una politica che sia al servizio del bene comune: ognuno di noi è chiamato a essere artefice e promotore del bene comune. E Bettazzi? So che tanti non lo conoscono perché è “da sempre giovane”, lui che tra due mesi compirà 97 anni è l’ultimo superstite, “lui che era allora il più giovane”, fra coloro che hanno partecipato alla seconda sessione nel 1963, come padre conciliare, del Concilio Vaticano II. Lui che negli anni Settanta veniva chiamato il Vescovo rosso per il suo dialogo con il Pci di Enrico Berlinguer, per lo schierarsi dalla parte degli operai, ancora oggi fa sentire la sua voce a difesa dei più poveri; lui che ha partecipato a Cagliari il 31 dicembre dello scorso anno alla 52ª Marcia della Pace, lui per oltre 30 anni alla guida della diocesi di Ivrea e per 17 anni di Pax Christi nazionale e internazionale, ha fatto sentire, a proposito dei migranti, la sua voce al governo italiano dicendo: «Vorremmo che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità, non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere. Credo che l’Italia possa e debba essere, per sé e per tutta l’Europa, pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa». Amico di don Tonino Bello con il quale partecipò nel 1992 alla marcia organizzata da Pax Christi che giunse a Sarajevo, Bettazzi ha scritto tanti libri che meritano di essere riletti e riproposti ai giovani perché oggi più che mai attuali. Due grandi testimoni del Vangelo, due profeti, due amici da sempre dell’associazione Mamre: ecco perché abbiamo chiesto a loro di essere qui oggi a inaugurare e benedire questa casa. Il secondo momento. Voglio raccontarvi come si è arrivati a “Casa Irene”. Desidero ricordare altri due grandi testimoni del Vangelo: Dom Mario Zanetta e don Luciano Lilla. Dom Mario diceva: «È necessario fare un passo avanti, dai progetti personali - “Io ti accoglierei a casa mia, ma non ho un letto da offrirti”, ai progetti collettivi, di comunità, e allora tutti insieme riusciremo a trovare la risposta ai problemi che schiacciano le persone». E don Luciano: «Costruiamo un tetto per Dio e mentre ci accorgiamo che è il Signore a costruire la casa dobbiamo pensare che ognuno di noi è chiamato con i suoi talenti a contribuire perché la casa possa avere vita e donare vita». Le parole di don Luciano ricordano quelle di Etty Hillesum, donna ebrea olandese di grande intelligenza e spiritualità, assassinata dai nazisti. Ecco le sue parole: «Ti prometto, o Dio, che cercherò sempre di trovarti una casa, un ricovero. Io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono tante case vuote, te le offro come all'ospite più importante». È una continuazione ideale della parabola di Cristo dell’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3, 20). Don Tonino ricorda che nel Vangelo di Giovanni ci sono tre verbi: si alzò da tavola, depose le vesti e si cinse l’asciugatoio. Ci dicono che l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà, ci obbliga a un certo punto ad abbandonare la mensa, ci sollecita all’azione, ma ci dicono anche che gli altri due verbi non hanno valenza se non partono dall’Eucarestia. Gesù, dopo che ebbe finito di lavare i piedi ai discepoli, disse: «Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». A vicenda, scambievolmente, servendo i fratelli e lasciandoci servire da loro, imparando il valore della reciprocità. Dall’Eucarestia alla strada, come dice don Ciotti, i bracci della croce sono il crocevia che rende possibile l’incontro tra il Cielo e la Terra. La strada come riferimento simbolico e operativo di ogni esperienza cristiana. Non una Chiesa che sta sopra il mondo e neppure solo accanto per paura, ma dentro la vita e la storia degli uomini per conoscere, capire, accogliere, condividere, stare dalla parte dell’uomo. Non parrocchie chiuse su se stesse per garantire lo status quo, ma parrocchie aperte. Con queste premesse e basi circa 35 anni fa iniziò il nostro cammino come gruppo di animazione missionaria con il “progetto solidarietà”, un cammino di conversione, fatto di piccoli passi, di attenzione e di accoglienza verso le altre persone, del saper vivere il verbo “accorgersi”, di saper ritrovare lo stupore per le meraviglie della vita, di questo immenso dono che Dio ci ha fatto. Nacquero alcune strade di intervento: la sensibilizzazione nelle scuole e nella comunità. Nacque il fondo di solidarietà e i contributi, divisi al 50%, finanziarono progetti in missione e sul nostro territorio e nacque qui a Borgomanero la prima casa di seconda accoglienza a cascina Gianni che accolse in 11 anni numerose famiglie. Dopo aver coinvolto tutte le parrocchie della nostra città in un intervento di aiuti in occasione dell’alluvione nell’Alessandrino, dal 1992 al '97 con l’iniziativa “Insieme siamo speranza” portammo in 21 viaggi la grande solidarietà di tantissime persone di tanti paesi delle nostre province a Mostar e a Dracevo durante la tragica guerra in Bosnia e poi anche nel nord dell’Albania durante la guerra in Kosovo. E poi i progetti a Manaus con suor Giustina Zanato e grazie a don Luciano la costituzione della Caritas cittadina. Nel '96 per affrontare meglio il tema dell’accoglienza costituimmo l’associazione Mamre con l’adesione di tutte le parrocchie della città e degli istituti religiosi e con l’associazione nacque poco dopo la casa di accoglienza “Piccolo Bartolomeo” per accogliere ragazze madri. Mamre per sottolineare anche con il nome il punto di partenza, cioè Lui, Gesù e il Suo progetto d’Amore. Mamre lo incontriamo nelle prime pagine del libro della Genesi (8, 1-15) quando Sara e Abramo, l’amico di Dio, colui che accomuna le tre grandi religioni monoteiste, l’uomo che ha sperato oltre ogni speranza, accolsero i tre viandanti, i tre divini messaggeri con quelle parole che l’allora vescovo Renato Corti volle che fossero scritte accanto alla porta d’entrata di casa “Piccolo Bartolomeo”: «Mio Signore, ti prego non andare oltre, fermati, sono qui per servirti». Sono trascorsi tanti anni, abbiamo incontrato tanti volti, sono più di 350 le persone che sono state ospitate, e da diversi anni le persone accolte sono soprattutto donne vittime di violenza che quando arrivano alla casa di accoglienza sono grigie, spente, hanno perso o mai conosciuto la dignità e la bellezza di essere donne e madre. Sono tanti i ricordi, tante le storie, da Laura che raccontava delle violenze subite mentre i figli si nascondevano sotto il divano e diceva: «Ma forse ha ragione lui, cosa valgo io, chi sono io? Lui lavora, forse non merito altro…»; a Elena, schiava prima del padre, poi del marito e dei figli cresciuti vedendo una madre che sempre piangeva, che subiva le botte dal padre che invece era libero di fare quello che voleva, senza chiedere, con i soldi sempre a disposizione. Lui era il modello da seguire. Donne che nonostante i “Marzo in rosa”, le “scarpette rosse”, continuano a subire violenze, continuano a morire; donne che dopo la faticosa decisione di arrivare alla denuncia devono nascondersi, donne per le quali la giustizia è sempre in ritardo. Pensavo che una prima udienza dopo 4-5 anni dalla denuncia fosse già un’attesa vergognosa, ma il mese scorso a una donna ospitata a casa “Piccolo Bartolomeo” 14 anni fa la polizia ha notificato la prima udienza per marzo 2021. Volti, donne straordinarie le volontarie che hanno donato e donano il loro tempo, il loro affetto, le loro competenze a questo servizio; alcune di loro garantiscono da sempre la presenza durante la notte: quanti bambini hai visto nascere Gabriella? E la fedeltà estrema a questo servizio anche quando un’altra volontaria, un’altra straordinaria donna, ha visto la sua auto completamente distrutta dai complici del compagno di una donna ospite della casa, ma nonostante questo è ancora oggi lì a prestare questo prezioso servizio. In questi anni altre case sono state aperte, casa “Suor Maria Serena”, la prima responsabile della casa, casa “Don Luciano Lilla”, casa “Dom Mario Zanetta”, per permettere alle donne accolte di vivere un periodo in autonomia accompagnata in attesa di un lavoro e di un alloggio indipendente. Abbiamo accolto per circa tre anni anche alcune ragazze richiedenti asilo per dare un segno e un significato autentico all’accoglienza che è vera quando riconosce nell’altro una persona nella sua identità specifica, quando si rinuncia ai pregiudizi che ci abitano, ma si va verso una condivisione reciproca dei valori di ognuno, e, come ci ricordava don Dino Campiotti, «Tanti scoprono che aiutare è anche ricevere: non ci sono steccati tra chi chiede e chi dà, ma si è insieme, nel cercare e nel costruire, nel dare e nel ricevere». E come dice l’amica teologa Antonietta Potente: «Non dobbiamo prestare attenzione alle situazioni di altri popoli o dei nostri connazionali solo perché hanno bisogno... C'è una vita che dobbiamo ritessere insieme per poter continuare a vivere... Riscoprire l’importanza di dedicarci la vita reciprocamente, perché siamo importanti e abbiamo cose importanti da scambiare, sapienze ed esperienze differenti: si apre così un circolo di dignità; semplicemente vivere è la prima cosa che chiede una persona, che chiedono i popoli». Ma casa “Piccolo Bartolomeo” e le altre case hanno i loro anni e non rispondono più alle normative regionali per l’accoglienza e non possono essere adeguate, e allora, da tempo, coltivavamo l’idea di una casa che avesse i requisiti per continuare questo servizio. Dopo aver chiesto ai Comuni e alla Diocesi se c’era un fabbricato che potesse essere utilizzato a tale fine, non avendolo trovato e dopo aver chiesto ai vari servizi sociali della varie province se era comunque un servizio necessario, l’idea di una nuova casa è diventata l’unica soluzione possibile. Ma per passare dall’idea al progetto mancavano non solo i soldi, ma anche quella spinta che ti fa dire: «Partiamo, osiamo...». Finchè un giorno la signora Donata Drago, alla quale era morta da poco la sua preziosa segretaria Irene, si recò da madre Anna Maria Cànopi per esprimere il suo desiderio di fare qualcosa che fosse un segno per ricordare Irene. E madre Cànopi la indirizzò da noi. La signora Donata ci chiamò, ci incontrammo, espresse il suo desiderio e il sostegno che lei e suo marito potevano offrire e noi le parlammo della nostra idea. Parte da lì casa Irene, da una telefonata all’amico Marco Preti che offrì il suo genio per trasformare l’idea in progetto, coinvolse l’amico ingegner Carlo Quirico e successivamente l’architetto Jasmine Shojaei, e durante una cena Marco disegnò su un tovagliolo quella che ora vedete realizzata. Marco vorrei ricordarlo con le parole di Dietrich Bonhoeffer (in “Resistenza e resa”): «Non c’è nulla che possa sostituire l’assenza di una persona a noi cara. Non c’è alcun tentativo da fare, bisogna semplicemente tenere duro e sopportare. Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l’un l’altro. È falso dire che Dio riempie il vuoto: Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore, ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in gioia silenziosa. I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso che non lo si contempla di continuo, ma lo si osserva in momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza». Marco chissà dove starà camminando in questo momento, quali cambiamenti starà proponendo anche lassù; questa casa parla di lui non solo per il patio a lui dedicato, ma per le forme, i colori, quelli delle camere soprattutto, perché, diceva, devono esprimere vita, gioia, così come eravamo tutti d’accordo che la casa doveva essere bella perché ospiterà donne che non hanno avuto nella vita la gioia di vivere qualcosa di bello. E con il progetto poi la ricerca di chi poteva aiutarci nella realizzazione, e così subito alla Caritas allora diretta da don Campiotti e ora da don Giorgio Borroni, e alla fondazione “Comunità del Novarese” e poi alla nostra comunità parrocchiale e salesiana con don Piero Cerutti e con don Giuliano Palizzi e infine la decisione di passare il testimone per quanto riguarda la gestione dell’accoglienza delle donne e dei bambini alle educatrici che da anni lavoravano già con dedizione per l’associazione: così anche questa casa verrà gestita dalla cooperativa impresa sociale “Irene” nella certezza che, e prendo in prestito il motto della fondazione Ca.ri.plo., «Tute servare munifice donare», questa casa verrà conservata con cura nel rispetto di tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione e nella consapevolezza che saranno loro, le operatrici che lavoreranno in questa casa, a essere la vera casa che custodisce e protegge, che sa generare speranza di vita nuova e tracciare progetti per restituire la dignità attraverso il lavoro e un alloggio in autonomia. Ma il cammino dell’associazione intanto ha aperto altre strade e con amici fraterni, con una rete nata non in riunioni senza fine, ma come una grande famiglia dove l’obiettivo è il bene comune e parlo di Giorgio Fornara, Sergio Vercelli, Gabriele Pezzotta, Gabriele Sala, Nicoletta ed Elena, Aldiana e Marisa, Mino e Mauro, Barbara, Claudio e di altri amici tra i quali i volontari della Croce Rossa di Arona e di Borgomanero, tre anni fa abbiamo deciso di capire qualcosa di più di quello che stava succedendo a 750 chilometri da Borgomanero a Bihac, in Bosnia, dove si stavano concentrando migliaia di persone migranti da vari paesi, Siria, Pakistan e Afghanistan. Per capire è necessario conoscere e spesso è necessario andare di persona perché i media offrono quasi sempre un’informazione parziale mediata perché è meglio non far sapere cosa succede in certi luoghi. E così siamo andati per 11 volte a Bihac, a Velika Kladusa e a Vucjak, fermati poi dall’emergenza Covid, per conoscere e far conoscere, per portare la solidarietà che la nostra comunità ha sempre ben espresso quando ben informata. E per due volte in Libano, accompagnati da padre Abdo Raad, che è qui oggi con noi, sacerdote cattolico melchita, libanese, che ha dato vita a Beirut a una associazione che si chiama “Annas Linnas”, “Gli uni per gli altri”: è una persona conosciuta e stimata da tutti in Libano, dalla gente comune ai vescovi, ai politici seri, pochi a dire il vero, e che ha numerosi progetti per portare aiuto sia nei numerosi campi profughi in Libano sia in tante famiglie che vivono la fatica di vivere. Con lui e grazie a lui siamo stati nel campo di Sabra e Shatila e lì abbiamo acquistato e donato una porzione di fabbricato per far sì che 70 bambini potessero avere la loro scuola. Continuiamo a sostenere i progetti di padre Abdo in questo momento tragico per il popolo libanese. Nelle due frontiere a est e a ovest collaboriamo con progetti concreti con l’associazione “Linea d’ombra” a Trieste e con l’associazione “20 K” a Ventimiglia per aiutare i numerosi migranti che credono ancora, nonostante tutto, nell’Europa dei diritti umani. Sempre a favore dei migranti a Saluzzo abbiamo portato aiuti concreti all’associazione che don Ciotti ben conosce, l’associazione “Liberavoce” di Cuneo, con la quale è aperta la collaborazione sempre per un progetto a favore dei migranti presenti nella loro città. Ma anche con padre Zanotelli abbiamo un progetto e riguarda il rimettere a nuovo l’unico parco giochi presente nel rione Sanità, per togliere i bambini dalla strada, per permettere di intercettare le famiglie, per togliere mano d’opera alla camorra. Cerchiamo di sostenere anche i progetti di suor Giustina in Mozambico e di don Rito Alvarez, colombiano, parroco a Vallecrosia, che nel nord est della Colombia ha creato una fondazione che toglie i bambini dai campi di coca dove vengono impiegati dai narcotrafficanti per raccogliere le foglie già dai 5-6 anni: offre loro e alle loro famiglie un lavoro, un istruzione, un futuro. E sul nostro territorio da 6 anni ospitiamo uomini senza fissa dimora a casa Piemontesi a Boca, e in due appartamenti qui a Borgomanero. Oggi gli uomini accolti sono 11 e alcuni in attesa. Anche per loro il progetto è quello di un reinserimento nel tessuto sociale, quando è possibile con un lavoro, altre volte aiutando la convivenza con due o tre persone che hanno un reddito minimo, ma che insieme possono ritrovare la propria autonomia. Con Anna, Giulio e Marco, che hanno il gravoso compito della lettura e della correzione degli articoli, della grafica, con alcune associazioni del territorio e con il contributo di quella persona straordinaria che è l’amico professor Giannino Piana, abbiamo poi ripreso la pubblicazione del notiziario Iqbal, per chi non vuole rimanere indifferente davanti alle ingiustizie”. Il tutto per aiutarci a conoscere la vera faccia di questo mondo e per aiutarci a capire: poi ognuno deciderà se aggiungere un mattone ai muri già esistenti o se toglierne uno generando speranza. Con Giannino Piana, Giuliano Ladolfi, Giuseppe Di Cerbo, sua moglie Annita e Marco Fornara in questi anni abbiamo pubblicato una trilogia su fede, speranza e carità e da oggi è disponibile il nuovo libro “Il Padre Nostro, una lettura al femminile”. E poi c’è il laboratorio “Il prato della speranza rinata” dove Rosina, Mariangela e Giancarla e alcune ragazze che abitano le case di accoglienza portano avanti progetti di cucito, sartoria e confezioni di manufatti speciali. Il terzo e ultimo momento. Ecco le parole che papa Francesco ci invita a usare. Grazie: lo dico pensandolo come il plurale di “Grazia” ed è una grazia, un dono grande essere qui oggi. Voi siete una grazia, un grande dono: dobbiamo sentirci davvero figli di uno stesso Padre, fratelli quindi che si amano e insieme vogliono operare per il bene comune. Solo l’amore e la giustizia possono generare la speranza di un mondo migliore per tutti. Grazie quindi a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa casa: a Marco e Donata Drago, alla Caritas Diocesana, a don Campiotti, a don Borroni, alla fondazione “Comunità Novarese”, a Cesare Ponti, a Davide Maggi, a Giuseppe Nobile, al segretario Gianluca Vacchini, a Sara Sussetto, a Luciano Chiesa. Grazie alla Fondazione Ca.ri.plo., a Mariella Enoc, a Mauro Nicola. Un grazie ai club di servizio, Soroptimist, Rotary, Lions, Kiwanis che da sempre hanno sostenuto l’associazione e i suoi progetti. Un grazie alle ditte che hanno contribuito con donazioni e fornitura di materiali alla costruzione della casa. I nomi delle ditte racchiudono i nomi delle persone: tante di loro sono amici da sempre dell’associazione e quindi grazie alle famiglie Caleffi, Fornara, Fiorindo e Frattini, Huber, Olivari, Zerlia, a Giuseppe Righi e a Gianluca Gnemmi. Grazie a Daniele Bellosta e a Gianni Lacchesi, a Davide Tinivella, a Enzo Origlia, a Carlo Giustina e a tutte le altre imprese che qui hanno lavorato. Grazie agli amici del Garden Club, a Umberto Cammarano, a Silvana Gorlero e a tutti i soci che hanno contribuito ad abbellire questo giardino. Grazie poi all’amico Marino e al consiglio dell’associazione “Il Cenacolo di Meina” che dopo aver purtroppo dovuto, con immenso dispiacere, chiudere la casa di accoglienza di Meina, hanno devoluto un prezioso contributo per questo progetto. Grazie a Marco Preti che ci vede da lassù, a Carlo Quirico per l’immenso lavoro che ha svolto nel trasformare in progetto le idee di Marco, nel seguire con professionalità e diligenza tutti i lavori e le pratiche, e grazie a Jasmine: suo il disegno del cortile interno, giovane professionista dal grande avvenire. Grazie a Errico Alfani che da quando è nata l’associazione ci assiste e ci aiuta. Grazie a Roberto e a Giulio per tutto il lavoro di questi mesi fatto in questa casa. Grazie a don Giuliano, direttore del collegio “Don Bosco”, e a don Piero, prevosto di Borgomanero, a don Marco Borghi, per l’amicizia, per il sostegno e la condivisione di un cammino che parte proprio dal Vangelo per tradursi nel farsi prossimo. Grazie a don Renato Sacco, parroco di Cesara e coordinatore di “Pax Christi”, per ricordarci sempre che il costo di un F35 prodotto a Cameri è di 150 milioni di euro, che il solo casco per il pilota costa 450mila euro, e che un posto letto di terapia intensiva super tecnologico costa 80 mila euro. Quando sapremo indignarci e dire basta all’industria delle armi che in Italia è in prima linea? Grazie a padre Abdo per averci fatto conoscere la realtà del Libano e dei fratelli libanesi, per il suo coraggio, la tenacia, la passione e la fede che ha in questa sua missione: cercheremo di accompagnarlo in questo servizio in attesa di poter ritornare insieme a Beirut. Grazie a don Mario Marchiori della Parrocchia di San Defendente di Ronco di Cossato e della sua “Chiesa a più voci”. Grazie alle educatrici, alla psicologa e alle volontarie delle case di accoglienza per aver condiviso un progetto di vita e grazie a tutte le persone che hanno abitato e abitano le case di accoglienza per il grande dono che sono e l’aiuto che ci danno nel capire il volto di questo mondo. Grazie a Nicoletta Tafelspalto, ad Andrea Porta, a Paola Scolari, a Gianni Barattini, a Vittorio Antamati, a Gianfelice Fortina, a Francesco Tofi, a Paolo Leonardi, a Sergio Cavallaro, tutti medici che hanno sempre offerto il loro servizio gratuitamente a mamme e bambini. Grazie a Flavia Marcioni della Farmacia di Briga, e alle altre farmacie che aderiscono al Banco Farmaceutico. Grazie a Piero, persona speciale che non solo sostiene l’associazione, ma ogni mattina con la sua auto viaggia per portare generi alimentari a persone senza alloggio. Grazie a Lidia, coordinatrice della comunità “Il Ricino” di Moncalieri.Grazie a Beppe, ad Annita, a Chiara, a Stefano, ad Anna e a Giulio per la loro amicizia, la disponibilità, la pazienza, il loro cuore grande. Grazie a questi amici, fratelli, da Gabriele a Sergio, da Giorgio a Barbara, con i quali condividiamo i nuovi progetti: il desiderio di conoscenza, la necessità di informare, il concretizzare progetti di aiuto ci faccia sempre sentire solo fattorini della solidarietà della nostra comunità partendo sempre dall’ascolto della Sua Parola. Grazie ai genitori di Irene, a Gianluca suo marito, a Matilde loro figlia. Grazie a tante persone che sono uno scrigno di bene e ci aiutano a capire quanto bene c’è intorno a noi, a Giovanni Marchionne, presidente dell’Ispam, a Mauro Fanchini, presidente della cooperativa “Il Ponte”, ad Andrea e Piero Porta della cooperativa “Lavoro Malgrado Tutto”, a Fabrizio Filiberti e a Milena Simonotti dell’associazione “Città di Dio”, a Franca, a Elena, a Laura e Paola dell’associazione “Insieme si può” di Nebbiuno, a Sergio Vercelli di “Compagni di Volo”, a Mauro Facchini di Libera, a Emanuele Cerutti dell’Anpi, a Claudio Colaci, presidente della Croce Rossa di Borgomanero e a tutti i volontari, a Renato Velati e al gruppo Alpini di Borgomanero, a Roberta Fornara del centro “Gazza Ladra” di Invorio, a Mariola Borgna, Bruna, Ambrogio e Roberto della Caritas parrocchiale di Borgomanero, agli amici del comitato “San Bernardo”, a Francesco Fornara per tutto il lavoro dell’impianto voci, ai ragazzi del “Don Bosco” e al preside Giovanni Campagnoli, a Sandra del negozio ”Bontà di via Arona” e a Franco Fornara per il pane quotidiano, a Gianni Cerutti, direttore, e Giovanni Tinivella, presidente della fondazione Marazza, grazie al dottor Claudio Didino, alla dottoressa Grazia Nuvolone, all’avvocato Federico Celano, al tenente Luca Bianchi Fossati e a tutta la tenenza di Borgomanero per il loro grande servizio a favore delle donne vittime di violenza e grazie alla dottoressa Arabella Fontana, direttrice generale dell’Asl e a tutti i medici e infermieri per il grande lavoro svolto, e che continuate a svolgere, a causa del Covid. Grazie ai rappresentanti delle istituzioni oggi presenti, a Elena Foti e a Laura Noro della Provincia di Novara. Laura è anche nel Cda del Ciss di Borgomanero e con lei saluto e ringrazio anche Bruno Valloggia, grazie ad Annalisa Beccaria e a Elisa Zanetta, assessori del Comune di Borgomanero in rappresentanza anche del sindaco Sergio Bossi, a Giorgio Fornara e Roberto Faggiano, consiglieri comunali sempre di Borgomanero, a Pier Luigi Pastore, ex sindaco di Borgomanero, a Chiara Barberi, sindaco di Briga Novarese, ad Angelo Barbaglia, sindaco di Cureggio, a Luigi Guidetti, sindaco di Gargallo, ad Augusto Cavagnino, sindaco di Soriso, a Giorgio Angeleri, sindaco di Orta, a Libera Ricci, vice sindaco di Gozzano, e a Domenico Rossi, consigliere regionale. Grazie alla mia famiglia per il grande bene che mi vuole. Grazie a ognuno di voi, per essere qui oggi e per seguire, accompagnare, sostenere l’associazione nei suoi progetti. La porta è sempre aperta per chi vuole e può collaborare con noi. Edith Stein ha scritto: «Ciò che permette di contemplare la necessità e di amarla è la bellezza del mondo. Senza la bellezza questo non sarebbe possibile». Ringraziamo insieme il Signore per il grande dono della vita e dell’amore e che ci aiuti sempre a contemplare e a vivere la bellezza di questi doni nell’incontro con il fratello. La seconda parola è “scusa” e la rivolgo a tutti coloro che ho dimenticato involontariamente in questa pagina di grazie. Scusa poi a don Giorgio, direttore della Caritas, a Federico e a Gianluca Vacchini della fondazione “Comunità Novarese” per averli fatto tanto tribolare nella presentazione del progetto, e scusa a tutte le persone che hanno chiesto aiuto e a cui non abbiamo potuto dare risposta, e scusa alla ragazza che mi ha telefonato ancora ieri perché lei e sua mamma hanno lo sfratto e non hanno dove andare e hanno bisogno di lavorare. L’ultima parola che indica papa Francesco è “permesso” e allora vi chiedo il permesso di chiedere ancora la vostra collaborazione, il vostro aiuto perché come vi ho detto i progetti non si fermano e accanto al progetto Libano e quello per il rione Sanità ai quali saranno destinati i contributi dalla vendita dei libri e dei cuscini che vi offriremo alla fine, vi dico che vorremmo tanto rispondere a un altro bisogno sul nostro territorio, quello di poter trovare un luogo dove aprire una mensa per chi non ha una casa dove poter mangiare, dove poter fare una doccia, dove aver la possibilità di relazionarsi con altre persone. Insieme come sempre possiamo farcela.