Giuseppe Culicchia, Elena Loewenthal, Paolo Giordano, Alessandro Baricco, Gianluigi Ricuperati, Oliviero Ponte Di Pino, Bruno Ventavoli? Sono soltanto alcuni dei nomi circolati in queste settimane per la sostituzione di Nicola Lagioia alla direzione del Salone del Libro.
Alcuni hanno rinunciato, altri hanno ritirato la candidatura, altri ancora sono stati scartati o bocciati da censure politiche – presunte o vere – di chi governa l’importante kermesse libraria torinese, cioè il Comune di Torino, la Regione Piemonte e l’associazione “Torino, la Città del Libro”.
E così qualsiasi decisione sul futuro del Salone Internazionale del Libro è stata rinviata a giugno, alla fine dell’edizione 2023, l’ultima con la direzione di Lagioia che tanto bene ha fatto in questi anni.
Un gioco assai pericoloso.
Molti ricorderanno che qualche anno fa Milano tentò di scipparci la manifestazione: sbagliarono la location e le date e Torino respinse l’assalto meneghino.
Ma l’agguato è sempre dietro l’ angolo.
Sarebbe un autentico suicidio. L’ennesimo per Torino e per il Piemonte che – solo per citare casi recenti – hanno visto sparire il salone dell’ Automobile e Automotoretrò, da quest’anno migrata a Parma.
Parma capite? Cosa c’entra con l’automotive? Nulla ma l’offerta è stata assai più allettante del costosissimo Lingotto.
Non esistono Saloni del libro di sinistra o di destra, esistono Saloni del libro fatti bene e altri fatti male.
Quello di Torino, tenuto a battesimo da Beniamino Placido, era fatto benissimo e infatti nessuno si chiedeva se Placido, oltre ad essere bravissimo, fosse di destra o di sinistra.
Continuiamo a farci del male.
A tentare giochetti politici per mettere il cappello su uno dei fiori all’occhiello del nostro territorio.
A nulla servirà poi piangere su noi stessi con la solita lamentatio piemontese.