Sette persone sono finite in manette (tre in carcere e quattro agli arresti domiciliari) con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma anche truffa aggravata ai danni dello Stato, falso ideologico e sostituzione di persona.
E' il bilancio dell'operazione messa a segno della Guardia di Finanza con il coordinamento della Procura della Repubblica e Direzione Distrettuale Antimafia: blitz che ha portato anche al sequestro di circa 150mila euro. Tutto è cominciato con pedinamenti e intercettazioni (sia telefoniche che ambientali) che hanno permesso di scoprire come due egiziani e un rumeno, insieme ad altri due italiani, un bengalese e un altro egiziano avevano dato vita a un'organizzazione in grado di garantire documenti per stranieri che non ne avrebbero avuto diritto. Il tutto, dietro pagamento di circa mille euro per ogni "prestazione".
Un'attività che è durata per oltre dieci anni e che ha fatto dei responsabili dei veri "punti di riferimento" per questo tipo di operazioni all'interno delle rispettive comunità di stranieri. Attraverso imprese e società inesistenti (o non più attive), i malviventi fingevano di predisporre assunzioni e finti contratti per arrivare a garantire un permesso di soggiorno alle persone coinvolte, ma anche documenti vari per ottenere prestazioni dell'Inps o dell'Agenzia delle Entrate. Dal reddito di cittadinanza all'indennità di maternità, dal bonus baby sitter ad altri bonus fiscali, bonus e sostegni al reddito in relazione al “Covid”, NASPI (nuovo assegno sociale per l’impiego) e rimborsi IRPeF.
Dalle indagini, sono emerse almeno 65 false posizioni lavorative e oltre 600 certificazioni uniche non veritiere, per un ammontare certificato di oltre 6,5 milioni di euro, utilizzate sia per simulare redditi che non esistevano, ma anche per favorire l’ingresso nel territorio dello Stato di cittadini stranieri. Le assunzioni fittizie avrebbero, inoltre, generato, negli anni, debiti nei confronti dell’Inps per un totale di circa 350 mila euro, dovuti al mancato versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
E’ stato, altresì, possibile ricostruire flussi finanziari verso l’estero, tra il 2015 e il 2020, per oltre mezzo milione di euro, che i principali indagati sarebbero riusciti a “esportare” nonostante i consistenti debiti previdenziali dagli stessi accumulati.