Suona la sveglia, ti prepari, vai al lavoro per guadagnare il sostentamento per te e per la tua famiglia, un incidente e… non torni più a casa.
Le chiamano «morti bianche», come se avvenissero senza sangue.
Le chiamano «morti bianche», come fossero dovute alla casualità, alla fatalità, alla sfortuna.
Le chiamano «morti bianche», perché l’aggettivo bianco allude all’assenza di una mano responsabile dell’accaduto, invece la mano responsabile c’è. Sempre.
(Versi tratti dalla poesia di Marco Bazzoni operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, Firenze)
Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad una escalation che definire drammatica è dire poco: 11 vittime in soli due giorni. 677 nei primi 7 mesi dell’anno, una media statistica di un morto ogni tre giorni.
Eppure, tutto questo succede nell’indifferenza quasi generale.
Siamo scesi in piazza per la salvaguardia del pianeta, giustissimo. Contro i femminicidi: altrettanto lodevole.
Si scende in piazza quasi ogni giorno contro vaccini e il green pass: un po’ meno giustamente, almeno dal mio punto di vista.
Cortei e manifestazioni si ripetono tutti i giorni (e per i più svariati motivi) su e giù per l’Italia e anche il nostro Piemonte è teatro di proteste pro e contro la qualunque.
Per i morti sul lavoro niente. Tutto tace. Silenzio.
Credo, invece, che sia inconcepibile che nell’attuale mondo ipertecnologico si muoia ancora mentre si lavora per guadagnarsi la pagnotta.
Infatti, le chiamano «morti bianche», per evitare che si dica omicidio sul lavoro.
Bianche come il silenzio, come l’indifferenza che si portano dietro.