(Adnkronos) - In pazienti con ipertensione non controllata o resistente al trattamento, l'aggiunta alla terapia standard di baxdrostat (dosaggi 2 mg e 1 mg) ha dimostrato, rispetto al placebo, una riduzione statisticamente significativa e clinicamente rilevante della pressione arteriosa sistolica media a riposo rispetto al placebo a 12 settimane di trattamento. Sono i risultati positivi dello studio di fase 3 BaxHtn. Il farmaco ha inoltre raggiunto con successo tutti gli endpoint secondari ed è risultato generalmente ben tollerato con un profilo di sicurezza favorevole. I dati - informa AstraZeneca in una nota - saranno condivisi con le autorità regolatorie a livello globale e presentati in una late-breaking session al Congresso della European Society of Cardiology (Esc) il prossimo agosto.
Nel mondo 1,3 miliardi di persone convivono con l'ipertensione, una patologia che, quando non controllata, può aumentare il rischio di infarto, ictus, scompenso cardiaco e malattia renale. Negli Stati Uniti circa il 50% dei pazienti ipertesi nonostante multiple terapie non riesce a mantenere controllata la propria pressione arteriosa. Un crescente numero di evidenze indica come la disregolazione dell'aldosterone rappresenti uno dei principali meccanismi biologici alla base dell'ipertensione.
"Molte persone continuano a sperimentare difficoltà nel controllare la propria pressione arteriosa, anche quando assumono più farmaci - afferma Bryan Williams, Chair of Medicine presso l'University College London e principal investigator dello studio - I risultati molto promettenti dello studio di fase 3 BaxHtn dimostrano che baxdrostat, somministrato 1 volta al giorno in aggiunta alla terapia standard, può ridurre in modo significativo la pressione sistolica, offrendo un potenziale nuovo approccio terapeutico per il controllo dell'ipertensione, il principale fattore di rischio per le malattie cardiovascolari". Dichiara Sharon Barr, Executive Vice President, BioPharmaceuticals R&D di AstraZeneca:"Siamo molto soddisfatti dei risultati dello studio di fase 3 BaxHtn, che hanno mostrato una riduzione statisticamente significativa e clinicamente rilevante della pressione arteriosa sistolica. Questi dati rappresentano una solida evidenza del potenziale di baxdrostat nel rispondere a un bisogno clinico insoddisfatto agendo sulla disregolazione dell'aldosterone e introducendo un meccanismo innovativo in un ambito che non ha visto innovazioni terapeutiche significative negli ultimi vent'anni".
BaxHtn - dettaglia la nota - è uno studio di fase 3, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e a gruppi paralleli, disegnato per valutare la sicurezza, la tollerabilità e l'efficacia di baxdrostat in pazienti con ipertensione non controllata in trattamento con 2 differenti farmaci antipertensivi e in pazienti con ipertensione resistente trattati con 3 o più differenti farmaci antipertensivi, uno dei quali rappresentato da un diuretico. Il farmaco è un potenziale 'first-in-class', inibitore altamente selettivo dell'aldosterone sintasi (Asi), che agisce sull'ormone responsabile dell'elevata pressione arteriosa e dell'aumento del rischio cardiovascolare e renale. Attualmente baxdrostat è oggetto di studio in trial clinici in monoterapia per il trattamento dell'ipertensione arteriosa e dell'aldosteronismo primario, e in combinazione con dapagliflozin per la malattia renale cronica e la prevenzione dello scompenso cardiaco in pazienti ipertesi ad alto rischio.
L'ipertensione - ricorda AstraZeneca - è una condizione clinica caratterizzata da livelli di pressione arteriosa sistematicamente elevati. Nel tempo può danneggiare i vasi sanguigni e gli organi vitali, aumentando il rischio di gravi complicanze per la salute. L'ipertensione difficile da controllare rappresenta ancora una significativa sfida per la salute pubblica. Nonostante i cambiamenti dello stile di vita e l'impiego di terapie farmacologiche multiple, una parte significativa delle persone affette da ipertensione non raggiunge i target pressori desiderati. L'ipertensione non controllata persiste nonostante il trattamento con 2 o più farmaci, mentre l'ipertensione resistente, una forma più severa, rimane elevata anche dopo l'impiego di 3 o più farmaci antipertensivi.
Uno dei principali fattori che contribuisce all'ipertensione difficile da controllare è l'aldosterone, un ormone che contribuisce ad aumentare la pressione arteriosa favorendo la ritenzione di sodio e acqua. Livelli elevati di aldosterone, insieme a fattori come obesità, eccessivo consumo di sale e condizioni genetiche o secondarie, sono fortemente associati a un difficile controllo della pressione. Se non trattata adeguatamente, la condizione aumenta in modo significativo il rischio di infarto, ictus e deterioramento della funzione renale.