Cronaca - 06 luglio 2020, 16:00

Nasce ‘RiVolti ai Balcani’, una rete per cancellare le violazioni dei diritti

Organizzata dalla società civile e da Mamre

Nasce ‘RiVolti ai Balcani’, una rete per cancellare le violazioni dei diritti

Gli ultimi due, il 24 giugno, sono annegati nel fiume Mreznica, in Croazia, nel corridoio tra Bosnia-Erzegovina e Slovenia. Non hanno un nome, perché sulla BalkanRoute, da anni, funziona così. Almeno fino a oggi. Sabato 26 giugno, a Milano, è stata presentata la rete informale “RiVolti ai Balcani”.

Con il direttore di Altreconomia, Duccio Facchini, si sono alternate alcune delle voci della società civile che hanno dato vita - lavorando già da mesi - a un gruppo di lavoro e di iniziative che «si uniscono per avere un impatto maggiore», come ha spiegato Agostino Zanotti, direttore di ADL a Zavidovici, una realtà che da decenni lavora nei Balcani. «Un gruppo di lavoro per farla finita con questa violenza, un gruppo che lavorerà per mettere in luce quel che accade, illuminare quei corpi che sono gli oggetti della brutalità della rotta. Dobbiamo curare i corpi, dobbiamo farla finita con un sistema brutale che difende uno stile di vita sulla pelle di queste persone». I dati sono chiari: al di là del Mediterraneo, la rotta balcanica, che dalla Turchia a Trieste attraversa l’Europa Orientale, dal 2015 a oggi è uno dei principali percorsi per rifugiati, migranti, richiedenti asilo. È un’umanità in fuga. In maggioranza provenienti da Iraq, Afghanistan, Siria, ma non solo. C’è una aspetto feroce nella camminata infinita, giorni interi, che queste persone si auto-infliggono, fuggendo da un altrove che è comunque peggiore. «Non ho scelto di essere un profugo», ha detto Nabil, uno dei 14 milioni di profughi siriani (su 23 milioni di abitanti). Come lui tanti altri, ma non è una politica concentrazionaria e violenta la soluzione. Oggi, dalla Grecia a Trieste, sono 70 i campi di detenzione lungo la rotta, sempre meno legati all’accoglienza, sempre più legati al contenimento.

Si sono alternati, nella presentazione del progetto, le molte anime che compongono il gruppo di 36 realtà. Gianfranco Schiavone, vice-presidente di ASGI; Silvia Maraone, coordinatrice interventi IPSIA ACLI in Bosnia Erzegovina; Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica - Along the Balkan Route; Paolo Pignocchi, Amnesty International – Italia; Anna Brambilla, avvocato del Foro di Milano, socia ASGI; e Corrado Conti, dell’associazione Mir Sada.

Gli obiettivi sono molti, di eguale importanza. La denuncia, come hanno sottolineato i relatori, di quanto accade a livello di violazioni dei diritti umani lungo la rotta. Da quello che è accaduto al confine tra Grecia e Turchia (dove ci sono 4 milioni di rifugiati, in un clima sempre più ostile) a fine febbraio fino alle violenze delle polizia croata, dove per la prima volta - anche grazie alle pressioni internazionali - due agenti di polizia a Karlovac dovranno rendere conto degli abusi su un gruppo di afgani, fino a quel che sta accadendo in Italia.

Secondo molte denunce, gli agenti italiani riconsegnano alla polizia slovena - in virtù di un vecchio accordo bilaterale del 1996 - migranti dopo averli identificati, ma senza che abbiano avuto accesso all’iter dovuto prima di essere respinti. La Slovenia, a sua volta, li riconsegna alla Croazia, che li deporta in Bosnia-Erzegovina dove la situazione è sempre più complessa, con oltre 9mila profughi, come ha raccontato Maraone. Se si vuole contrastare davvero il traffico di esseri umani, bisogna agire in modo sistemico. Al momento costa 600 euro un viaggio a piedi massacrante, fino a 4500 euro in taxi, ha raccontato Maraone. La denuncia di violenze, morti senza nome, stato di detenzione senza futuro di migliaia di persone, è un obiettivo di “RiVolti ai Balcani”, ma non solo. Anche informare, dare un volto e un nome a queste persone.

Noi parteciperemo con una mappa della rotta, che permetterà di monitorare costantemente quel che accade con una rassegna stampa condivisa con tutte le realtà lungo il cammino. E a questo si affiancherà il lavoro di solidarietà, come quello che svolge da anni Linea d’Ombra a Trieste, che procura scarpe e cura piedi. Accanto ad altre realtà che si occupano di dare una mano, un sorriso, un aiuto ai migranti. Infine il livello di pressione politica: bisogna risolvere la questione. C’è un intervento sistemico, ci sono misure urgenti da prendere che non possono che essere politiche.

Un seminario pubblico a Trieste, a fine ottobre, produrrà dei tavoli di lavoro e un documento per il Parlamento Europeo, la Commissione Ue e tutti i governi nazionali coinvolti. Q Code nasce anche perché crediamo in un giornalismo civile, che riesce con il suo lavoro a documentare i guasti che i decisori politici – tutti - devono sistemare. Raccontare, denunciare, aiutare: per cambiare le cose. La pagina facebook della rete dove seguire le iniziative:  https://www.facebook.com/RiVoltiAiBalcani/ La rotta balcanica: migranti senza diritti nel cuore dell’Europa di Gabriele Sala Sabato 27 giugno a Milano, nel chiostro della Chiesa del Carmine, si è tenuta una conferenza stampa alla quale hanno partecipato i rappresentanti di 36 associazioni italiane impegnate da anni a portare aiuti e solidarietà ai migranti che percorrono, con sempre maggiori difficoltà, la cosiddetta “rotta balcanica” nella speranza di raggiungere l’Europa e ricongiungersi a parenti ed amici che da anni vivono e lavorano, soprattutto in Francia, Belgio e Danimarca e nei Paesi del nord Europa in generale.

I Paesi di provenienza dei migranti sono soprattutto Afghanistan, Pakistan, Iran, Iraq e Siria, in fuga da persecuzioni e conflitti senza fine; si tratta soprattutto di giovani maschi, ma non mancano famiglie e minori non accompagnati. Alla conferenza era presente anche una delegazione di Mamre, che in questi anni ha compiuto 10 missioni in Bosnia, grazie anche alla collaborazione con la CRI di Arona che ha messo a disposizione uomini e mezzi per raggiungere i campi profughi di Bihac, Velika Kladusa e Vucjak, realtà che rappresentano veramente la frontiera della disumanità, dei non-luoghi nei quali i diritti delle persone sono sospesi.

Mamre, nel corso delle sue missioni, agendo in stretta collaborazione con la Croce Rossa di Bihac, ha consegnato abiti, coperte, scarpe, pentolame e perfino una lavastoviglie industriale per supportare la Croce Rossa locale, incaricata della preparazione e distribuzione dei pasti.

Ora, anche da come emerso dalle numerose testimonianze che si sono avvicendate durante la conferenza stampa, tutto ciò è reso più difficoltoso, a causa delle Polizie dei vari Paesi di transito, in particolare quella croata. che si è distinta per l’efferatezza delle violenze e delle torture di cui sono vittime i migranti che vengono intercettati.

Anche in Slovenia, in un clima di tensione xenofoba, oltre all’imponente dispiegamento di agenti di Polizia lungo il confine con la Croazia, si sono aggiunte milizie paramilitari ultranazionaliste: benché girino per i boschi della Slovenia armati fino ai denti, almeno ufficialmente, dichiarano che il ruolo del gruppo non è intercettare i migranti, ma segnalarne la presenza alle forze dell’ordine.

Alle violenze e ai soprusi si aggiunge l’odiosa pratica dei respingimenti: le polizie slovena e croata li trovano di notte, utilizzando cani e droni, dentro i boschi; li picchiano e rubano loro tutto quello che hanno; sequestrano o distruggono i cellulari, indispensabili per orientarsi nel loro percorso; poi li rispediscono indietro senza scarpe, per rendere più difficoltoso il game, il gioco, come lo chiamano, come il gioco dell’oca, dove se superi il traguardo devi tornare indietro.

E c’è anche chi il game lo ha tentato 10 o 12 volte. Ma, come ha sottolineato uno dei volontari intervenuti alla conferenza, anche l’Italia è toccata dal problema dei respingimenti: «Fino a poco tempo fa il nostro Paese rappresentava un luogo sicuro di protezione per loro, ma pare che ora non sia più così. Infatti sono emerse responsabilità dirette dell’Italia in recenti operazioni di riammissioni collettive sul confine con la Slovenia, in aperta violazione del diritto internazionale. Nonostante ciò il dibattito pubblico sulla questione è ancora quasi inesistente...».

All’inizio di giugno, l’ASGI (Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione) ha indirizzato una lettera aperta al nostro ministero dell’Interno, alla Questura e alla Prefettura di Trieste e pubblicato un’analisi sulle recenti “riammissioni informali” dall’Italia alla Slovenia e sulle riammissioni a catena verso Slovenia e Croazia. Ma a oggi la lettera aperta rimane ancora senza risposta. A margine della conferenza è intervenuto il professor Nabil Al Lao, rifugiato siriano, amico di Mamre, docente di lingua e cultura francese in un’Università di Milano e lucido conoscitore delle questioni mediorientali.

Con note di toccante umanità, ha descritto la difficoltà di vivere da rifugiato in un Paese straniero, «anche quando ci si sente accolti e quando si vive - come si definisce lui - in una condizione privilegiata». Infine, ha ricordato le condizioni drammatiche dei profughi siriani in Libano, un Paese di sei milioni di abitanti, di cui un terzo è costituito da profughi siriani che vivono in campi informali, cioè non autorizzati.

La situazione, già grave di per sé, è precipitata a causa del coronavirus e la più grave crisi economica mai affrontata dal Paese dei cedri si sta trasformando in un vero collasso politico, con tutte le conseguenze anche verso il continente europeo nel caso di apertura di un nuovo fronte sul lato dell’immigrazione.

C.S.

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