Cronaca dal Nord Ovest - 20 ottobre 2019, 13:10

Il fotografo che amava le donne: a Torino gli scatti di Man Ray nella Parigi degli anni Venti

Fino al 19 gennaio 2020, un'esposizione di duecento fotografie dedicata ai ritratti femminili e alle interpretazioni della stagione dadaista e surrealista. In mostra anche opere di Berenice Abbott e Lee Miller

André Breton lo definiva “l’uomo dalla testa di lanterna magica”, e davvero poté salutarlo come uno dei discepoli più puri del surrealismo, all’inizio degli anni Venti, nella Parigi luminosa dove egli approdò guadagnandosi presto la fama di “dadaista newyorchese”. E di quell’atmosfera intellettuale, modaiola e seducente si fece attento osservatore e raffinato interprete, dialogando moltissimo con le donne e divenendo il ritrattista più ambito dei letterati sotto le luci della ribalta, da James Joyce ad André Gide. È Man Ray – pseudoimo di Emmanuel Radnitzky – il protagonista della nuova, grandiosa mostra di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, che accoglie a Torino duecento scatti realizzati nella capitale francese seguendo la linea rosa dell’immagine conturbante femminile, fonte di ispirazione principale della sua poetica.

Nella parete centrale del percorso di visita, ecco in rapida – e quasi ipnotizzante  – successione i ritratti di Berenice Abbott, Dora Maar (sfortunata musa di Picasso), Lee Miller e Meret Oppenheim, icone eteree di quella grande stagione culturale e collaboratrici dell’artista, prima come assistenti e poi liberamente autonome. Si arriva quindi agli anni Trenta, quando, con l’avvento dei regimi totalitari, Parigi non smette di figurare come la capitale mondiale di un’evoluzione/rivoluzione sociale elaborata negli studi d’artista, nei cabaret bohémien e nei café.

“Il ritratto di un essere amato – scriveva ancora Breton – deve poter essere non soltanto un’immagine alla quale sorridere, ma un oracolo da interrogare”. E proprio alla bellezza surrealista è dedicata la terza sezione della mostra, che per lo scrittore francese doveva necessariamente essere “convulsiva”, e quindi “erotico-velata, esplosivo-fissa, magico-circostanziale”. Un ideale ben incarnato da alcune delle fotografie più celebri di Ray qui esposte: “Explosante-fixe”, “Erotique-voilée”, “Le Violin d’Ingres”, “Noire et Blanche” e “La Prière”. Il corpo femminile, immortalato nudo o delicatamente vestito nella sua interezza o nei suoi particolari, diventa il tramite per un’esaltazione dell’ambiguità delle forme e dei significati, della sensualità e sessualità come elemento liberatorio e sovversivo.

Tra le modelle di Ray, un ruolo a parte spetta a Lee Miller: la giovane americana giunta a Parigi nel 1929, non solo posa per il maestro, diviene la sua assistente e la sua compagna, ma intraprende anche un’importante carriera fotografica, e CAMERA espone per l’occasione venti sue opere che spaziano dal reportage alla fotografia di moda.

Interessanti anche le opere di Ray ricavate con la tecnica dei rayogrammi e della solarizzazione. La prima è una tecnica off-camera (cioè senza uso della macchina), realizzata esponendo degli oggetti a contatto diretto con la carta fotografica, praticata dal maestro partire dal 1921 in seguito a un errore in fase di stampa. Le solarizzazioni, invece, consistono nel generare un alone attorno al soggetto ritratto, sovraesponendo alcune porzioni dell’immagine. Queste, che sul negativo appaiono più chiare, in stampa risultano scure, e si creano così delle sagome che vanno a sovrapporsi alla posa originale, provocando sfumature di forte impatto visivo.

Chiudono il percorso le foto realizzate da Ray all’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, dove fu incaricato di occuparsi dell’illuminazione dal curatore Marcel Duchamp e dai co-curatori Salvador Dalí e Max Ernst.

Infine, nell’Atelier Man Ray, è possibile ammirare un’altra tecnica tipica del maestro, legata al taglio delle immagini. Grazie a un importante prestito dello CSAC di Parma, nella mostra vengono accostate due tipologie di materiali: le prove a contatto e le stampe. Affiancando le une alle altre si evidenzia come, a partire da una singola posa, Ray declinasse lo stesso soggetto in differenti soluzioni di carattere formale. Emerge così la volontà metodica di spingere al massimo i confini del linguaggio, portando pratica fotografica il più possibile verso una dimensione estetica, un tempo a esclusivo appannaggio della pittura.

“Tutti conoscono Man Ray – ha commentato il direttore di CAMERA Walter Guadagnini – ma non altrettanto la storia delle donne che hanno vissuto al suo fianco. Qui abbiamo voluto ricreare quell’ambiente”. “È la prima mostra – ha aggiunto il presidente Emanuele Chieli – dedicata a un grande maestro della storia della fotografia mondiale. Abbiamo voluto farci questo regalo per i nostri primi quattro anni, ma soprattutto proporre un approccio nuovo al tema del ruolo femminile nella società e nell’arte”.

Dal corrispondente a Torino