Novara - 21 maggio 2019, 19:00

Ahmadreza Djalali, il medico rinchiuso nella prigione a Teheran agli studenti di medicina riuniti a Novara: «Vorrei essere lì con voi, non dimenticatevi di me»

«Vorrei essere lì con voi, non dimenticatevi di me»: è questo in sostanza il messaggio contenuto nella lettera che Ahmadreza Djalali, il medico iraniano che ha lavorato per tre anni al Centro interdipartimentale di medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale e che dall’aprile 2016 è rinchiuso nella prigione di Evin a Teheran, ha voluto scrivere agli studenti di tutto il mondo riuniti a Novara per l’annuale master del Crimedim. La lettera è stata consegnata dalla mogie di Djalali, è una ennesima commovente testimonianza di questa incredibile vicenda. Il medico esprime il proprio saluto e il proprio incoraggiamento agli studenti riuniti a Novara, insieme al desiderio di uscire finalmente dalla prigione e di ritornare a lavorare a Novara. Proprio nei confronti della città Djalali esprime affetto e riconoscenza. Il caso di Ahmadreza Djalali ha suscitato una ampia mobilitazione internazionale, con la raccolta di quasi 250.000 firme in tutto il mondo. Per la sua liberazione si sono espressi anche 121 primi Nobel. Anche Amnesty International sta seguendo fin dall’inizio la vicenda. Proprio Amnesty (vedi foto) sta sollevando in queste settimane il tema delle pessime condizioni di salute di Djalali , che nelle poche immagini diffuse appare semre più dimagrito e sofferente. Il medico, che lavorava a Novara e la cui famiglia, moglie e due figli, viveva in Svezia, era tornato per motivi personali in Iran, dove, ormai tre anni fa, è stato arrestato con l’accusa di essere una spia. Condannato a morte, è rinchiuso da tempo nella prigione della capitale iraniana: l’esecuzione della pena è stata sospesa, e gli avvocati del medico stanno continuando una dura battaglia legale per dimostrare che le accuse contro Djalali sono infondate.

E.C.V.