Novara - 12 dicembre 2019, 09:07

Cinquant’anni fa la strage di piazza Fontana. Tra i morti il novarese Giulio China

Cinquant’anni fa la strage di piazza Fontana. Tra i morti il novarese Giulio China

In piazza Fontana a Milano, cinquant’anni fa il 12 dicembre 1969, alle 16:37, scoppia una bomba nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Uccide diciassette persone e ne ferisce ottantotto. Un atto terroristico che segna l'inizio della "strategia della tensione" e che dà il via a una lunga serie di attentati (stazione di Bologna, piazza della Loggia, treno Italicus) che insanguineranno l'Italia durante gli anni Settanta.

Tra i morti, anche un novarese, Giulio China, 57 anni, mediatore agricolo di origini borgomaneresi, che vivea con moglie e figlia nel quartiere Sacro Cuore, a Novara. Come tutti gli altri, era uscito di casa il 12 dicembre 1969 e non ha fatto più ritorno.

Anche i familiari di China attendono dopo 50 anni, numerosi processi e depistaggi, una verità processuale che si intoni alla verità storico ormai acclarata.

Perché la vicenda giudiziaria sulla strage ebbe fine nel 2005, quando la Cassazione la chiuse con un'assoluzione generalizzata degli imputati presi in esame dall'indagine scaturita negli anni '90 dal lavoro sulle "Trame nere", dell'allora giudice istruttore Guido Salvini che, di recente, ha anche pubblicato un libro dal titolo emblematico: "La maledizione di Piazza Fontana".  Da subito le indagini si concentrano sulla pista anarchica con l'arresto di Pietro Valpreda, frettolosamente o dolosamente individuato come autore della strage e che sarà assolto nel 1985 dopo un lungo calvario giudiziario; poi, il 15 dicembre con la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura durante un interrogatorio. Qualche tempo dopo, la pista nera con le indagini su elementi di Ordine Nuovo padovani e l'incriminazione del procuratore legale Giovanni Ventura e l'editore 'nazimaoista' Franco Freda. Poi lo choc, con la decisione di trasferire il processo da Milano a Roma, da Roma nuovamente nel capoluogo lombardo e infine a Catanzaro. Risultato: assolti sia Valpreda, sia i neofascisti. Negli anni '90 si fanno avanti i primi pentiti: l'armiere di Ordine nuovo in Triveneto, Carlo Digilio, e il militante mestrino Martino Siciliano. Raccontano nel dettaglio di riunioni preparatorie agli attentati culminati con quello di piazza Fontana, forniscono ragguagli su esplosivi, congegni, sulle cellule padovane e mestrine di On e sui milanesi del gruppo La Fenice. L'inchiesta sfocia in un processo nel 2000. Imputati Delfo Zorzi esponente di Ordine nuovo, ormai ricco imprenditore della moda in Giappone, il reggente di Ordine nuovo, il medico veneziano Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, capo del gruppo milanese La Fenice, Roberto Tringali, accusato di favoreggiamento e lo stesso Digilio. Alla fine ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre per Digilio scatta la prescrizione. Tre anni dopo, la doccia fredda per i familiari delle vittime. In appello fioccano le assoluzioni. Digilio non è ritenuto credibile. Il 3 maggio del 2005 di nuovo la parola fine. Gli imputati sono assolti definitivamente anche se i giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni, confermano il quadro emerso dalle indagini e come gli attentati fossero opera di Ordine nuovo. Di più: la Corte ritiene che debba darsi una risposta "positiva" al giudizio di responsabilità di Freda e Ventura per "la strage di Piazza Fontana e gli altri attentati commessi quel giorno".  Freda e Ventura non sono però giudicabili in quanto già processati e assolti in via definitiva per gli stessi fatti. Giulio China e le altre vittime attendono ancora piena giustizia.

ECV

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